Didone abbandonata, Torino, Reale, 1757, I

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
  Luogo magnifico destinato per le pubbliche udienze con trono da un lato. Veduta in prospetto della città di Cartagine che sta in atto edificandosi.
 
 ENEA, SELENE, OSMIDA
 
 ENEA
 No, principessa, amico,
 sdegno non è, non è timor che muove
 le frigie vele e mi trasporta altrove.
 So che m'ama Didone,
5purtroppo il so, né di sua fé pavento;
 l'adoro e mi rammento
 quanto fece per me. Non sono ingrato;
 ma ch'io di nuovo esponga
 all'arbitrio dell'onde i giorni miei
10mi prescrive il destin, voglion gli dei;
 e son sì sventurato
 che sembra colpa mia quella del fato.
 SELENE
 Se cerchi al lungo error riposo e nido,
 te l'offre in questo lido
15la germana, il tuo merto e 'l nostro zelo.
 ENEA
 Riposo ancor non mi concede il cielo.
 SELENE
 Perché?
 OSMIDA
                  Con qual favella
 il lor voler ti palesaro i numi?
 ENEA
 Osmida, a questi lumi
20non porta il sonno mai suo dolce obblio
 che 'l rigido sembiante
 del genitor non mi dipinga innante.
 «Figlio» ei dice e l'ascolto «ingrato figlio,
 quest'è d'Italia il regno
25che acquistar ti commise Apollo ed io?
 L'Asia infelice aspetta
 che in un altro terreno,
 opra del tuo valor, Troia rinasca.
 Tu 'l promettesti. Io nel momento estremo
30del viver mio la tua promessa intesi
 allor che ti piegasti
 a baciar questa destra e mel giurasti.
 E tu frattanto ingrato
 alla patria, a te stesso, al genitore
35qui nell'ozio ti perdi e nell'amore?
 Sorgi; de' legni tuoi
 tronca il canape reo, sciogli le sarte».
 Mi guarda poi con torvo ciglio e parte.
 SELENE
 Gelo d'orror. (Dal fondo della scena comparisce Didone con seguito)
 OSMIDA
                            (Quasi felice io sono.
40Se parte Enea, manca un rivale al trono).
 SELENE
 Se abbandoni il tuo bene,
 morrà Didone (e non vivrà Selene).
 OSMIDA
 La regina s'appressa.
 ENEA
 (Che mai dirò?)
 SELENE
                                 (Non posso
45scoprire il mio tormento).
 ENEA
 (Difenditi, mio core, ecco il cimento).
 
 SCENA II
 
 DIDONE con seguito e detti
 
 DIDONE
 Enea, d'Asia splendore,
 di Citerea soave cura e mia,
 vedi come a momenti
50del tuo soggiorno altera
 la nascente Cartago alza la fronte.
 Frutto de' miei sudori
 son quegli archi, que' templi e quelle mura.
 Ma de' sudori miei
55l'ornamento più grande, Enea, tu sei.
 Tu non mi guardi e taci? In questa guisa
 con un freddo silenzio Enea m'accoglie?
 Forse già dal tuo core
 di me l'immago ha cancellata amore?
 ENEA
60Didone alla mia mente,
 il giuro a tutti i dei, sempre è presente;
 né tempo o lontananza
 potrà sparger d'obblio,
 questo ancor giuro ai numi, il foco mio.
 DIDONE
65Che proteste! Io non chiedo
 giuramenti da te; perch'io ti creda,
 un tuo sguardo mi basta, un tuo sospiro.
 OSMIDA
 (Troppo s'inoltra).
 SELENE
                                     (Ed io parlar non oso).
 ENEA
 Se brami il tuo riposo,
70pensa alla tua grandezza,
 a me più non pensar.
 DIDONE
                                          Che a te non pensi?
 Io che per te sol vivo, io che non godo
 i miei giorni felici,
 se un momento mi lasci?
 ENEA
                                                Oh dio, che dici!
75E qual tempo scegliesti! Ah troppo, troppo
 generosa tu sei per un ingrato.
 DIDONE
 Ingrato Enea! Perché? Dunque noiosa
 ti sarà la mia fiamma.
 ENEA
                                           Anzi giammai
 con maggior tenerezza io non t'amai.
80Ma...
 DIDONE
             Che?
 ENEA
                         La patria, il cielo...
 DIDONE
 
    Parla.
 
 ENEA
 
                 Dovrei... Ma no...
 L'amore... oh dio, la fé...
 Ah che parlar non so! (Ad Osmida)
 Spiegalo tu per me. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DIDONE, SELENE e OSMIDA
 
 DIDONE
85Parte così? Così mi lascia Enea?
 Che vuol dir quel silenzio? In che son rea?
 SELENE
 Ei pensa abbandonarti.
 Contrastano quel core,
 né so chi vincerà, gloria ed amore.
 DIDONE
90È gloria abbandonarmi?
 OSMIDA
 (Si deluda). Regina,
 il cor d'Enea non penetrò Selene.
 Ei disse, è ver, che 'l suo dover lo sprona
 a lasciar queste sponde;
95ma col dover la gelosia nasconde.
 DIDONE
 Come?
 OSMIDA
                 Fra pochi istanti
 dalla reggia de' Mori
 qui giunger dee l'ambasciadore Arbace.
 DIDONE
 Che perciò?
 OSMIDA
                         Le tue nozze
100chiederà il re superbo e teme Enea
 che tu ceda alla forza e a lui ti doni.
 Perciò così partendo
 fugge il dolor di rimirarti.
 DIDONE
                                                  Intendo.
 S'inganna Enea; ma piace
105l'inganno all'alma mia.
 So che nel nostro core
 sempre la gelosia figlia è d'amore.
 SELENE
 Anch'io lo so.
 DIDONE
                           Ma non lo sai per prova.
 OSMIDA
 (Così contro un rival l'altro mi giova).
 DIDONE
110Vanne, amata germana;
 dal cor d'Enea sgombra i sospetti e digli
 che a lui non mi torrà se non la morte.
 SELENE
 (A questo ancor tu mi condanni, o sorte!)
 
    Dirò che fida sei,
115su la mia fé riposa;
 sarò per te pietosa,
 (per me crudel sarò).
 
    Sapranno i labbri miei
 scoprirgli il tuo desio.
120(Ma la mia pena, oh dio,
 come nasconderò?) (Parte)
 
 SCENA IV
 
 DIDONE e OSMIDA
 
 DIDONE
 Venga Arbace qual vuole,
 supplice o minaccioso; ei viene invano;
 in faccia a lui pria che tramonti il sole,
125ad Enea mi vedrà porger la mano.
 Solo quel cor mi piace.
 Sappialo Iarba.
 OSMIDA
                               Ecco s'appressa Arbace.
 
 SCENA V
 
 IARBA sotto nome d’Arbace ed ARASPE con seguito de’ mori. Comparse, che conducono tigri, leoni e portano altri doni per presentare alla regina, e detti
 
  Mentre Didone servita da Osmida va sul trono, fra loro, non intesi dalla medesima, dicono Iarba ed Araspe:
 
 ARASPE
 Vedi, mio re...
 IARBA
                             T'accheta.
 Fin che dura l'inganno,
130chiamami Arbace e non pensare al trono;
 per ora io non son Iarba e re non sono.
 Didone, il re de' Mori
 a te de' cenni suoi
 me suo fedele apportator destina;
135io te l'offro qual vuoi,
 tuo sostegno in un punto o tua ruina.
 Queste, che miri intanto,
 spoglie, gemme, tesori, uomini e fere,
 che l'Africa soggetta a lui produce,
140pegni di sua grandezza in don t'invia.
 Nel dono impara il donator qual sia.
 DIDONE
 Mentre io n'accetto il dono,
 larga mercede il tuo signor riceve;
 ma s'ei non è più saggio,
145quel ch'ora è don può divenire omaggio.
 (Come altero è costui!) Siedi e favella.
 ARASPE
 (Qual ti sembra, o signor?)
 IARBA
                                                    (Superba e bella).
 Ti rammenta, o Didone,
 qual da Tiro venisti e qual ti trasse
150disperato consiglio a questo lido.
 Del tuo germano infido
 alle barbare voglie, al genio avaro
 ti fu l'Africa sol schermo e riparo.
 Fu questo, ove s'innalza
155la superba Cartago, ampio terreno
 dono del mio signor e fu...
 DIDONE
                                                  Col dono
 la vendita confondi...
 IARBA
 Lascia pria ch'io favelli e poi rispondi.
 DIDONE
 (Che ardir!)
 OSMIDA
                          (Soffri).
 IARBA
                                            Cortese
160Iarba il mio re le nozze tue richiese;
 tu ricusasti, ei ne soffrì l'oltraggio,
 perché giurasti allora
 che al cener di Sicheo fede serbavi.
 Or sa l'Africa tutta
165che dall'Asia distrutta Enea qui venne,
 sa che tu l'accogliesti e sa che l'ami;
 né soffrirà che venga
 a contrastar gli amori
 un avanzo di Troia al re de' Mori.
 DIDONE
170E gli amori e gli sdegni
 fian del pari infecondi.
 IARBA
 Lascia pria ch'io finisca e poi rispondi.
 Generoso il mio re, di guerra invece,
 t'offre pace, se vuoi;
175e in emenda del fallo
 brama gli affetti tuoi, chiede il tuo letto,
 vuol la testa d'Enea.
 DIDONE
                                       Dicesti?
 IARBA
                                                         Ho detto.
 DIDONE
 Dalla reggia di Tiro
 io venni a queste arene
180libertade cercando e non catene.
 Prezzo de' miei tesori
 e non già del tuo re Cartago è dono.
 La mia destra, il mio core
 quando a Iarba negai,
185d'esser fida allo sposo allor pensai.
 Or più quella non son...
 IARBA
                                             Se non sei quella...
 DIDONE
 Lascia pria ch'io risponda e poi favella.
 Or più quella non son; variano i saggi
 a seconda de' casi i lor pensieri.
190Enea piace al mio cor, giova al mio trono
 e mio sposo sarà.
 IARBA
                                  Ma la sua testa...
 DIDONE
 Non è facil trionfo, anzi potrebbe
 costar molti sudori
 quest'avanzo di Troia al re de' Mori.
 IARBA
195Se 'l mio signore irriti,
 verranno a farti guerra
 quanti Getuli e quanti
 Numidi e Garamanti Africa serra.
 DIDONE
 Pur che sia meco Enea, non mi confondo;
200vengano a questi lidi
 Garamanti, Numidi, Africa e 'l mondo.
 IARBA
 Dunque dirò...
 DIDONE
                              Dirai
 che amoroso nol curo,
 che nol temo sdegnato.
 IARBA
205Pensa meglio, o Didone.
 DIDONE
                                               Ho già pensato. (Si levano da sedere)
 
    Son regina e sono amante
 e l'impero io sola voglio
 del mio soglio e del mio cor.
 
    Darmi legge invan pretende
210chi l'arbitrio a me contende
 della gloria e dell'amor. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 IARBA, OSMIDA ed ARASPE
 
 IARBA
 Araspe, alla vendetta. (In atto di partire)
 ARASPE
 Mi son scorta i tuoi passi.
 OSMIDA
                                                 Arbace, aspetta.
 IARBA
 (Da me che bramerà?)
 OSMIDA
                                             Posso a mia voglia
215libero favellar?
 IARBA
                               Parla.
 OSMIDA
                                            Se vuoi,
 io m'offro a' sdegni tuoi compagno e guida.
 Didone in me confida,
 Enea mi crede amico e pendon l'armi
 tutte dal cenno mio. Molto potrei
220a' tuoi disegni agevolar la strada.
 IARBA
 Ma tu chi sei?
 OSMIDA
                             Seguace
 della tiria regina, Osmida io sono.
 In Cipro ebbi la cuna
 e 'l mio core è maggior di mia fortuna.
 IARBA
225L'offerta accetto e se fedel sarai,
 tutto in mercé ciò che domandi avrai.
 OSMIDA
 Sia del tuo re Didone, a me si ceda
 di Cartago l'impero.
 IARBA
                                        Io tel prometto.
 OSMIDA
 Ma chi sa se consente
230il tuo signore alla richiesta audace?
 IARBA
 Promette il re, quando promette Arbace.
 OSMIDA
 Dunque...
 IARBA
                      Ogni atto innocente
 qui sospetto esser può; serba i consigli
 a più sicuro loco e più nascoso.
235Fidati. Osmida è re, se Iarba è sposo.
 OSMIDA
 
    Tu mi scorgi al gran disegno
 e al tuo sdegno, al tuo desio
 l'ardir mio ti scorgerà.
 
    Così rende il fiumicello,
240mentre lento il prato ingombra,
 alimento all'arboscello
 e per l'ombra umor gli dà. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 IARBA, ARASPE
 
 IARBA
 Quant'è stolto, se crede
 ch'io gli abbia a serbar fede!
 ARASPE
245La promettesti a lui.
 IARBA
 Non merta fé chi non la serba altrui.
 Ma vanne, amato Araspe,
 ogn'indugio è tormento al mio furore.
 Vanne; le mie vendette
250un tuo colpo assicuri. Enea s'uccida.
 ARASPE
 Vado e sarà fra poco
 del suo, del mio valore
 in aperta tenzone arbitro il fato.
 IARBA
 No, t'arresta. Io non voglio
255che al caso si commetta
 l'onor tuo, l'odio mio, la mia vendetta.
 Improvviso l'assali, usa la frode.
 ARASPE
 Da me frode! Signor, suddito io nacqui
 ma non già traditor. Dimmi ch'io vada
260nudo in mezzo agl'incendi, incontro all'armi,
 tutto farò. Tu sei
 signor della mia vita; in tua difesa
 non ricuso cimento;
 ma da me non si chieda un tradimento.
 IARBA
265Sensi d'alma volgare! A me non manca
 braccio del tuo più fido.
 ARASPE
                                              E come, o dei,
 la tua virtude...
 IARBA
                               Eh che virtù? Nel mondo
 o virtù non si trova
 o è sol virtù quel che diletta e giova.
 
270   Fra lo splendor del trono
 belle le colpe sono;
 perde l'orror l'inganno,
 tutto si fa virtù.
 
    Fuggir con frode il danno
275può dubitar se lice
 quell'anima infelice
 che nacque in servitù. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 ARASPE
 
 ARASPE
 Empio! L'orror che porta
 il rimorso d'un fallo anche felice,
280la pace fra' disastri
 che produce virtù come non senti?
 O sostegno del mondo,
 degli uomini ornamento e degli dei,
 bella virtude, il mio piacer tu sei.
 
285   Se dalle stelle tu non sei guida
 fra le procelle dell'onda infida,
 mai per quest'alma calma non v'è.
 
    Tu m'assicuri ne' miei perigli,
 nelle sventure tu mi consigli;
290e sol contento sento per te. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 Cortile.
 
 SELENE, ENEA
 
 ENEA
 Già tel dissi, Selene;
 male interpreta Osmida i sensi miei.
 Ah piacesse agli dei
 che Dido fosse infida e ch'io potessi
295figurarmela infida un sol momento!
 Ma saper che m'adora
 e doverla lasciar, questo è il tormento.
 SELENE
 Sia qual vuoi la cagione
 che ti sforza a partir, per pochi istanti
300t'arresta almeno e di Nettuno al tempio
 vanne. La mia germana
 vuol colà favellarti.
 ENEA
 Sarà pena l'indugio.
 SELENE
                                        Odila e parti.
 ENEA
 Ed a colei che adoro
305darò l'ultimo addio?
 SELENE
                                        (Taccio e non moro!)
 ENEA
 Piange Selene!
 SELENE
                              E come
 quando parli così non vuoi ch'io pianga?
 ENEA
 Lascia di sospirar. Sola Didone
 ha ragion di lagnarsi al partir mio.
 SELENE
310Abbiam l'istesso cor Didone ed io.
 ENEA
 Tanto per lei t'affliggi?
 SELENE
 Ella in me così vive,
 io così vivo in lei
 che tutti i mali suoi son mali miei.
 ENEA
315Generosa Selene, i tuoi sospiri
 tanta pietà mi fanno
 che scordo quasi il mio nel vostro affanno.
 SELENE
 Se mi vedessi il core,
 forse la tua pietà saria maggiore.
 
 SCENA X
 
 IARBA, ARASPE e detti
 
 IARBA
320Tutta ho scorsa la reggia,
 cercando Enea, né ancor m'incontro in lui.
 ARASPE
 Forse quindi partì.
 IARBA
                                      Fosse costui! (Vedendo Enea)
 Africano alle vesti ei non mi sembra.
 Stranier, dimmi, chi sei? (Ad Enea)
 ARASPE
325Quanto piace quel volto agli occhi miei! (Vedendo Selene)
 ENEA
 Troppo bella Selene... (Guarda Iarba e non risponde)
 IARBA
                                           Olà, non odi? (Ad Enea)
 ENEA
 Troppo ad altri pietosa... (Come sopra)
 SELENE
 Che superbo parlar! (Guardando Iarba)
 ARASPE
                                         (Quanto è vezzosa!)
 IARBA
 O palesa il tuo nome o ch'io... (Ad Enea)
 ENEA
                                                         Qual dritto
330hai tu di domandarne? A te che giova?
 IARBA
 Ragione è il piacer mio.
 ENEA
                                              Fra noi non s'usa
 di rispondere a' stolti. (Vuol partire)
 IARBA
                                            Ah questo acciaro... (Vuol por mano alla spada e Selene lo ferma)
 SELENE
 Sugli occhi di Selene,
 nella reggia di Dido un tanto ardire? (A Iarba)
 IARBA
335Di Iarba al messaggiero
 sì poco di rispetto?
 SELENE
                                      Il folle orgoglio
 la reina saprà.
 IARBA
                             Sappialo. Intanto
 mi vegga ad onta sua troncar quel capo
 e a quel d'Enea congiunto
340dell'offeso mio re portarlo a' piedi.
 ENEA
 Difficile sarà più che non credi.
 IARBA
 Tu potrai contrastarlo? O quell'Enea
 che per glorie racconta
 tante perdite sue?
 ENEA
                                    Cedono assai
345in confronto di glorie
 alle perdite sue le tue vittorie.
 IARBA
 Ma tu chi sei che tanto
 meco per lui contrasti?
 ENEA
 Son un che non ti teme; e ciò ti basti.
 
350   Quando saprai chi sono,
 sì fiero non sarai
 né parlerai così.
 
    Brama lasciar le sponde
 quel passeggiero ardente;
355fra l'onde poi si pente,
 se ad onta del nocchiero
 dal lido si partì. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 SELENE, IARBA ed ARASPE
 
 IARBA
 Non partirò, se pria...
 SELENE
                                          Da lui che brami? (Lo ferma)
 IARBA
 Il suo nome.
 SELENE
                          Il suo nome
360senza tanto furor da me saprai.
 IARBA
 A questa legge io resto.
 SELENE
 Quell'Enea che tu cerchi appunto è questo.
 IARBA
 Ah m'involasti un colpo
 che al mio braccio offeriva il ciel cortese.
 SELENE
365Ma perché tanto sdegno? In che t'offese?
 IARBA
 Gli affetti di Didone
 al mio signor contende.
 T'è noto e mi domandi in che m'offende?
 SELENE
 Arbace, a quel ch'io veggio,
370nella scuola d'amor sei rozzo ancora.
 Un cor che s'innamora
 non sceglie a suo piacer l'oggetto amato;
 onde nessuno offende,
 quando in amor contende o allor che niega
375corrispondenza altrui. Non è bellezza,
 non è senno o valore
 che in noi risveglia amore; anzi talora
 il men vago, il più stolto è che s'adora.
 Bella ciascuno poi finge al pensiero
380la fiamma sua; ma poche volte è vero.
 
    Ogni amator suppone
 che della sua ferita
 sia la beltà cagione;
 ma la beltà non è.
 
385   È un bel desio che nasce
 allor che men s'aspetta;
 si sente che diletta
 ma non si sa perché. (Parte)
 
 SCENA XII
 
 IARBA, ARASPE, poi OSMIDA
 
 IARBA
 Non è più tempo, Araspe,
390di celarmi così. Troppa finora
 sofferenza mi costa.
 ARASPE
                                       E che farai?
 IARBA
 I miei guerrier, che nella selva ascosi
 quindi non lungi al mio venir lasciai,
 chiamerò nella reggia;
395distruggerò Cartago e l'empio core
 all'indegno rival trarrò...
 OSMIDA
                                               Signore,
 già di Nettuno al tempio
 la reina s'invia. Sugli occhi tuoi
 al superbo troiano,
400se tardi a riparar, porge la mano.
 IARBA
 Tanto ardir?
 OSMIDA
                          Non è tempo
 d'inutili querele.
 IARBA
                                  E qual consiglio?
 OSMIDA
 Il più pronto è il migliore. Io ti precedo;
 ardisci. Ad ogni impresa
405io sarò tuo sostegno e tua difesa. (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 IARBA ed ARASPE
 
 ARASPE
 Dove corri, o signore?
 IARBA
 Il rivale a svenar.
 ARASPE
                                   Come lo speri?
 Ancora i tuoi guerrieri
 il tuo voler non sanno.
 IARBA
410Dove forza non val, giunga l'inganno.
 ARASPE
 E vuoi la tua vendetta
 con la taccia comprar di traditore?
 IARBA
 Araspe il mio favore
 troppo ardito ti fe'; più franco all'opre
415e men pronto a' consigli io ti vorrei.
 Chi son io ti rammenta e chi tu sei.
 
    Son quel fiume che gonfio d'umori,
 quando il gelo si scioglie in torrenti,
 selve, armenti, capanne e pastori
420porta seco e ritegno non ha.
 
    Se si vede fra gli argini stretto,
 sdegna il letto, confonde le sponde
 e superbo fremendo sen va. (Parte)
 
 SCENA XIV
 
 ARASPE solo
 
 ARASPE
 Lo so, quel cor feroce
425stragi minaccia alla mia fede ancora.
 Ma si serva al dovere e poi si mora.
 
    Infelice e sventurato
 potrà farmi ingiusto fato;
 ma infedele io non sarò.
 
430   La mia fede e l'onor mio
 pur fra l'onde dell'obblio
 agli Elisi io porterò. (Parte)
 
 SCENA XV
 
 Tempio di Nettuno con simulacro del medesimo.
 
 ENEA, OSMIDA
 
 OSMIDA
 Come? Da' labbri tuoi
 Dido saprà che abbandonar la vuoi?
435Ah taci per pietà
 e risparmia al suo cor questo tormento.
 ENEA
 Il dirlo è crudeltà
 ma sarebbe il tacerlo un tradimento.
 OSMIDA
 Benché costante, spero
440che al pianto suo tu cangerai pensiero.
 ENEA
 Può togliermi di vita
 ma non può il mio dolore
 far ch'io manchi alla patria e al genitore.
 OSMIDA
 Oh generosi detti!
445Vincere i propri affetti
 avanza ogni altra gloria.
 ENEA
 Quanto costa però questa vittoria!
 
 SCENA XVI
 
 IARBA, ARASPE e detti
 
 IARBA
 Ecco il rival; né seco
 è alcun de' suoi seguaci.
 ARASPE
450Ah pensa che tu sei...
 IARBA
                                         Sieguimi e taci.
 Così gli oltraggi miei... (In atto di ferire Enea, Araspe lo trattiene; gli cade il pugnale e Araspe lo raccoglie)
 ARASPE
                                             Fermati.
 IARBA
                                                                Indegno,
 al nemico in aiuto?
 ENEA
 Che tenti, anima rea? (Ad Araspe, in mano di cui voltandosi vede il pugnale)
 OSMIDA
                                            (Tutto è perduto).
 
 SCENA XVII
 
 DIDONE con guardie e detti
 
 OSMIDA
 Siam traditi, o regina.
455Se più tarda d'Arbace era l'aita,
 il valoroso Enea
 sotto colpo inumano oggi cadea.
 DIDONE
 Il traditor qual è, dove dimora?
 OSMIDA
 Miralo, nella destra ha il ferro ancora. (Accenna Araspe)
 DIDONE
460Chi ti destò nel seno (Ad Araspe)
 sì barbaro desio?
 ARASPE
 Del mio signor la gloria e 'l dover mio.
 OSMIDA
 Come? L'istesso Arbace
 disapprova...
 ARASPE
                           Lo so ch'ei mi condanna,
465il suo sdegno pavento;
 ma il mio non fu delitto e non mi pento.
 DIDONE
 E nemmeno hai rossore
 del sacrilego eccesso?
 ARASPE
 Tornerei mille volte a far l'istesso.
 DIDONE
470Ti preverrò. Ministri,
 custodite costui. (Parte Araspe con guardie)
 ENEA
 Generoso nemico,
 in te tanta virtude io non credea. (A Iarba)
 Lascia che a questo sen...
 IARBA
                                                Scostati, Enea.
475Sappi che 'l viver tuo d'Araspe è dono,
 che il tuo sangue vogl'io, che Iarba io sono.
 DIDONE
 Tu Iarba?
 ENEA
                      Il re de' Mori?
 DIDONE
 Un re sensi sì rei
 non chiude in seno; un mentitor tu sei.
480Si disarmi.
 IARBA
                        Nessuno (Snuda la spada)
 avvicinarsi ardisca o ch'io lo sveno.
 OSMIDA
 (Cedi per poco almeno,
 finch'io genti raccolga; a me ti fida). (A Iarba)
 IARBA
 E così vil sarò?
 ENEA
                              Fermate, amici.
485A me tocca punirlo.
 DIDONE
                                      Il tuo valore
 serba ad uopo miglior. Che più s'aspetta?
 O si renda o svenato al piè mi cada.
 OSMIDA
 (Serbati alla vendetta). (Al medesimo)
 IARBA
                                              Ecco la spada.
 
    Tu mi disarmi il fianco, (A Didone)
490tu mi vorresti oppresso. (Ad Enea)
 Ma sono ancor l'istesso,
 ma non son vinto ancor.
 
    Soffro per or lo scorno;
 ma forse questo è il giorno
495che domerò quell'alma, (A Didone)
 che punirò quel cor. (Ad Enea)
 
 DIDONE
 Frenar l'alma orgogliosa
 tua cura sia.
 OSMIDA
                          Su la mia fé riposa. (Parte con guardie)
 
 SCENA XVIII
 
 DIDONE, ENEA
 
 DIDONE
 Enea, salvo già sei
500dalla crudel ferita.
 Per me serban gli dei sì bella vita.
 ENEA
 Oh dio, regina!
 DIDONE
                               Ancora
 forse della mia fede incerto stai?
 ENEA
 No; più funeste assai
505son le sventure mie. Vuole il destino...
 DIDONE
 Chiari i tuoi sensi esponi.
 ENEA
 Vuol (mi sento morir) ch'io t'abbandoni.
 DIDONE
 M'abbandoni! Perché?
 ENEA
                                            Di Giove il cenno,
 l'ombra del genitor, la patria, il cielo,
510la promessa, il dover, l'onor, la fama
 alle sponde d'Italia oggi mi chiama.
 La mia lunga dimora
 purtroppo degli dei mosse lo sdegno.
 DIDONE
 E così fino ad ora,
515perfido, mi celasti il tuo disegno?
 ENEA
 Fu pietà.
 DIDONE
                    Che pietà? Mendace il labbro
 fedeltà mi giurava
 e intanto il cor pensava
 come lunge da me volgere il piede.
520A chi, misera me, darò più fede?
 Vil rifiuto dell'onde,
 io l'accolgo sul lido, io lo ristoro
 dalle ingiurie del mar, le navi e l'armi
 già disperse io gli rendo e gli do loco
525nel mio cor, nel mio regno; e questo è poco.
 Di cento re per lui
 ricusando gli amori, i sdegni irrito.
 Ecco poi la mercede.
 A chi, misera me, darò più fede?
 ENEA
530Finch'io viva, o Didone,
 dolce memoria al mio pensier sarai.
 Né partirei giammai,
 se per voler de' numi io non dovessi
 consacrare il mio affanno
535all'impero latino.
 DIDONE
 Veramente non hanno
 altra cura gli dei che 'l tuo destino.
 ENEA
 Io resterò, se vuoi
 che si renda spergiuro un infelice.
 DIDONE
540No; sarei debitrice
 dell'impero del mondo a' figli tuoi.
 Va' pur, siegui il tuo fato,
 cerca d'Italia il regno, all'onde, ai venti
 confida pur la speme tua; ma senti.
545Farà quell'onde istesse
 delle vendette mie ministre il cielo;
 e tardi allor pentito
 d'aver creduto all'elemento insano,
 richiamerai la tua Didone invano.
 ENEA
550Se mi vedessi il core...
 DIDONE
 Lasciami, traditore.
 ENEA
 Almen dal labbro mio
 col volto meno irato
 prendi l'ultimo addio.
 DIDONE
                                           Lasciami, ingrato.
 ENEA
555E pure a tanto sdegno
 non hai ragion di condannarmi.
 DIDONE
                                                            Indegno!
 
    Non ha ragione, ingrato,
 un core abbandonato
 da chi giurogli fé?
 
560   Anime innamorate,
 se lo provaste mai,
 ditelo voi per me!
 
    Perfido, tu lo sai
 se in premio un tradimento
565io meritai da te.
 
    E qual sarà tormento,
 anime innamorate,
 se questo mio non è? (Parte)
 
 SCENA XIX
 
 ENEA solo
 
 ENEA
 E soffrirò che sia
570sì barbara mercede
 premio della tua fede, anima mia?
 Tanto amor, tanti doni...
 Ah pria ch'io t'abbandoni,
 pera l'Italia, il mondo;
575resti in obblio profondo
 la mia fama sepolta;
 vada in cenere Troia un'altra volta.
 Ah che dissi! Alle mie
 amorose follie,
580gran genitor, perdona, io n'ho rossore.
 Non fu Enea che parlò; lo disse amore.
 Si parta. E l'empio moro
 stringerà il mio tesoro?
 No... Ma sarà frattanto
585al proprio genitor spergiuro il figlio?
 Padre, amor, gelosia, numi, consiglio.
 
    Se resto sul lido,
 se sciolgo le vele,
 infido, crudele
590mi sento chiamar.
 
    E intanto confuso
 nel dubbio funesto,
 non parto, non resto;
 ma provo il martire
595ch'avrei nel partire,
 ch'avrei nel restar.
 
 Fine dell’atto primo